Con gioia pubblichiamo un estratto di un articolo* che Anna Pia Viola, socia della nostra cooperativa, ha voluto condividere con tutti noi. Un’esortazione o meglio, un invito a riflettere sul nostro quotidiano per iniziare questo nuovo anno con uno spunto – forse un po’ impopolare per molti – ma sul quale vale la pena soffermarsi un po’ di più.

di Anna Pia Viola

Vuoi essere felice? Vivi con sobrietà! Questo potrebbe essere l’impegno per l’anno nuovo, per un anno fecondo di vita. Ma cos’è la sobrietà? Le parole che meglio ne spiegano il significato sono: ‘giusta relazione’, ‘semplificazione’ e ‘riduzione delle esigenze individuali’. Negli ultimi cinquant’anni diversi pensatori, scrittori e uomini spirituali, hanno riflettuto sull’importanza di cambiare gli stili di vita all’insegna della sobrietà come rispetto di sé stessi, degli altri e del mondo che ci accoglie. Così hanno fatto il filosofo Morin e lo scrittore Rabhi, ideatore dell’agroecologia, ossia di un insieme di pratiche che creano un proprio ecosistema, una propria relazione tra diversi esseri viventi, vegetali, animali e umani, con la finalità di farli coesistere insieme. Pur partendo da contesti culturali e percorsi formativi differenti, Morin e Rabhi convergono nella possibilità di un pensiero nuovo rigenerativo che si basa sui principi della reciprocità, gratuità e della bellezza (E. Morin, P. Rabhi, Fratellanza d’anima. Intervista con Denis Lafay, Armando editore, Roma 2021).

Pierre Rabhi è stato uno scrittore, un agricoltore e soprattutto un convinto sostenitore della spiritualità legata all’amore e alla cura del nostro pianeta. Nel suo libro, La sobrietà felice, egli addebita la responsabilità dell’attuale situazione di collasso all’incapacità da parte dell’uomo di vivere utilizzando solo ciò di cui ha veramente bisogno. “Pur non appartenendo più ad alcuna religione – dichiara Pierre Rabhi – mi sono reso conto che la sobrietà felice attiene per me decisamente alla sfera mistica e spirituale, diventa un luogo di libertà, esente dai tormenti con cui ci opprime la pesantezza del nostro stile di vita” (La sobrietà felice, add editore, Torino 2013, p. 98).

Sembra scontato e di una semplicità disarmante, ma è proprio tale semplicità che, a mio avviso, ci spinge a rispondere a una domanda essenziale: di cosa abbiamo realmente bisogno? Il superfluo è la nostra condanna perché l’uomo è posseduto da ciò che possiede. Dopo la Seconda Guerra Mondiale vi fu la spinta a rincorrere un ‘progresso’ che creò la grande illusione di ritenere che “gli eccessi dell’avere abolissero i bisogni dell’essere, mentre la società consumista creava nuovi bisogni e frustrazioni” (La sobrietà felice, p. 23). Solo chi saprà disciplinarsi con la moderazione rispetto ai beni di cui ha realmente bisogno, potrà gioire di ciò che ha e sperimentare la condivisione. Praticando la moderazione la persona impara a sentire di appartenere alla vita invece di rivendicarne la proprietà. La sobrietà diventa una convinzione legata alla chiara scelta di considerare le risorse materiali come dei doni della vita e il ‘non consumare’ è il comandamento che esplicita il più conosciuto, anche se il più disatteso, comando di ‘non uccidere’.

Qui la scelta: produrre denaro o far crescere benessere. Il cammino verso tale consapevolezza è forse lento, ma sempre più diffuso fra i giovani e le persone di buona volontà.

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*L’articolo completo è stato pubblicato su “Italia francescana”, n. 3/2022 pagg. 457/473